Molti motociclisti, nati tra gli anni 60 e 70, cominciarono la loro “Carriera” su un Ciao malandato, sulla Vespa del nonno, o su un Garelli truccato. Raggiunta l’età per la patente “A” e passando ore incollati alle vetrine dei vari concessionari, stressarono all’inverosimile i genitori, riuscendo spesso a saltare in sella alla tanto agognata 125 cc due tempi; questa è anche la mia storia.
moto: Cagiva 125cc. testo e foto Primo Montagna
Quelle motociclette, amiche di tanti pomeriggi, di giornate spensierate e delle prime cotte, sembravano compagne inseparabili, eterne. Poi, una volta raggiunta la maggiore età, vennero accantonate, vendute, o peggio, demolite. Nei garage si faceva spazio per l’auto, il nuovo simbolo d’indipendenza. Succede, a molti di quei ragazzi, che dopo alcuni anni passati dentro quelle scatolette metalliche a quattro ruote, la voglia di ritornare in sella, di vivere la strada, di sentire l’aria sulla faccia, cresca prepotente tra i loro pensieri. Così, per colmare quel vuoto di libertà e quella mancanza di sensazioni particolari tipiche della guida in moto, una due ruote torna ad occupare un angolino nel box di casa. Il possesso della nuova cavalcatura può generare, a volte, un nostalgico flashback emotivo che vola al “primo amore”, la motocicletta dei 16 anni, oramai solo un lontano ricordo per i più. Io, in questo caso, mi ritengo fortunato; perché quella moto la posseggo ancora! Lo ammetto; per anni ho lasciato che prendesse polvere nel box.
Poi, un giorno, decido che il momento è propizio per rimetterla in strada; risorge così la mia Cagiva SST 125 del 1981, detta “Gengiva”. L’aver ridato vita alla prima moto però non soddisfa a sufficienza il mio ego. Non mi basta d’essere fiero per avere Gengiva ancora funzionante. Devo, perché voglio, rimembrare i vecchi tempi, quando affrontavamo come eroi le strade dell’Oltrepò pavese, la Lomellina e di quando, a 19 anni, decisi di seguire alcuni amici in Sardegna. Approdare in moto nell’isola sembrava un enorme avventura, allora! Ancora non lo sapevo, ma stavo gettando le basi per costruire la personalità da biker zingaro che mi ritrovo oggi. Così un giorno, preso da raptus improvviso, decido di far vivere a Gengiva una nuova avventura. Con tanto spirito amarcord, senza pianificare troppo, seguendo semplicemente una impertinente vocina interiore, una mattina d’agosto, perfetta cornice del mio sogno adolescenziale dal punto di vista meteo, parto alla volta dello Stelvio, con tanto di tenda e sacco a pelo sul portapacchi. Gli amici, malefici, gufano, ma si rendono disponibili per un eventuale recupero a mezzo furgone. L’itinerario segue, per ovvi motivi legislativi, statali, provinciali, un interminabile attraversamento del centro di Milano ed una puntatina sulla superstrada per Lecco, tabù per le 125; non l’ho fatto apposta, non me ne sono accorto.
Arrivo fino a Bormio senza grossi problemi, rallentato solamente dagli interminabili, per un vecchio 125, tratti in salita e da qualche sosta pro terga; Gengiva non è il massimo della comodità per i lunghi trasferimenti. Poi nel primo pomeriggio, arriva la parte più bella ed emozionante del tour. Affrontare le strade del passo più alto d’Italia, con una moto da 10 cavalli scarsi, ed un asino a bordo, non è facile come dirlo. Temo per la sorte del suo motore, che fatica a percorrere le lunghe rampe della Val Braulio. Il Gengiva arranca, affrontando le pendenze con i denti, mentre la carburazione peggiora man mano che si sale. Affronta curve e tornanti in 1° e 2° aiutato da qualche “sfrizionamento” e incitato amorevolmente dai continui colpetti che riceve sul serbatoio: ” Vai Gengiva, vai!”, continuo a ripetere. Ogni tornante affrontato è una vittoria, ogni cambiata un brivido. Gengiva ed io, nonostante l’andatura lenta, ci stiamo divertendo come un tempo, quando insieme affrontavamo le curve sui rilievi dell’Oltrepò. Dopo l’ennesimo tornante un gruppo di motociclisti Olandesi, già incontrati ad un distributore di Bormio e fermi per delle foto ricordo, si mettono a fare il tifo per noi! Non dimenticherò mai le loro esortazioni. I protagonisti del Giro d’Italia non hanno mai goduto di un tifo così. Gengiva sembra averci preso gusto; arranca ma non molla. Come Herbie, il Maggiolino tutto matto della Disney, sta tirando fuori tutti i cavalli dal suo motore, anche quelli che non ha, per arrivare in vetta e vincere la sfida. Io invece non sto più nella pelle; fischietto, canto, saluto tutti quelli che incrociamo. Sono già stato altre volte sullo Stelvio, ma in questa occasione tutto appare più bello, magico, e sotto un certo punto di vista persino commovente.
Ci siamo; la sagoma del cartello che indica il passo più alto delle Alpi Italiane si materializza all’orizzonte. Mi sento come un ragazzino alla prima vera avventura in moto, e Gengiva, con la frizione oramai esausta, una volta fermo per la foto ricordo si gode i commenti curiosi di alcuni enduristi tedeschi, il plauso di un gruppo di Vespisti, gli sguardi stupiti ed increduli di un paio di smanettoni e le lacrimuccie malinconiche di un quarantenne, con bimbo al seguito, che un tempo, chissà, aveva forse posseduto una moto così. Questa piccola impresa può apparire come una follia agli occhi di chi non comprende a fondo il mondo delle due ruote, una cosa inutile, priva di senso. Ma credetemi, vivere un emozione così, da adulto per l’anagrafe, con la prima moto posseduta è qualcosa di unico. Ti riempie il cuore e, perché no, ti fa sentire ancora un ragazzino pronto ad affrontare la vita e tante nuove avventure. E Gengiva? Non prendetemi per pazzo, ma sono convinto che quassù, oggi, ha ritrovato la sua vecchia grinta, arrugginita dal tempo e sbiadita dalla mia incuria. Ogni motocicletta racchiude nei suoi ingranaggi più segreti di un anima e ora, quella del Gengiva, ha raggiunto il settimo cielo.
Informazioni
Mi sono preso un intero fine settimana per rivivere l’esperienza dello Stelvio, con calma. Partendo da Garlasco (PV), ho impiegato circa sei ore per giungere a destinazione, utilizzando, come ovvio, strade statali. I chilometri percorsi sono stati alla fine 550. Non ho utilizzato navigatori, ma solo vecchie cartine stradali. Si è rivelata utilissima, per uno come me che non conosce il capoluogo lombardo, quella di Milano.
Pernottamento:
Camping Cima Piazzi, a Valdisotto (SO). Ottimo il rapporto qualità/prezzo. Il Camping dispone di un ottimo ristorante. www.cimapiazzi.it